UNA STORIA DI “MARMO”

Sfondo della vicenda, la Versilia, un entroterra di piccoli borghi, parchi naturali, cave di marmo, vere e proprie cattedrali a cielo aperto e il mare.

Accade spesso che i cimiteri delle ” piccole” città nascondano veri e propri tesori e quello di Viareggio non fa eccezione.

Una delle radicate e struggenti tradizioni popolari viareggine vuole che il giorno dei morti i bambini vengano accompagnati all’ interno del complesso cimiteriale monumentale , lungo un itinerario che prevede la visita al presepe e alla statua funeraria della ” Bimba che aspetta”, che adorna l’ edicola metallica della Famiglia Barsanti-Beretta.

Una piccola raffigurata in attesa della madre, oramai deceduta da tempo, che coniuga efficacemente realismo e simbolismo.

” C’è una figura di marmo, seduta sul limitare di una tomba. Fu quello il nostro primo incontro con il fascino dell’ ignoto”. ( E. Malafatti)

E’ una visita scandita da voci e storie che sovente assumono l’ alone della leggenda e nei bambini stimola curiosità e simpatia per la piccola ” amica” di marmo; la sua eleganza e intimità di forma in contrasto con la monumentalità pretenziosa delle cappelle confinanti.

Per accedere al suo ingresso ci sono quattro scalini di marmo bianco e seduta su uno di essi la statua di Paolina; braccio sinistro che poggia sul ginocchio leggermente rialzato, capelli legati da un nastro che forma un fiocco, la manina che stringe forte una ghirlanda, una mantella dal colletto verde smeraldo.

Paolina era diventata di marmo per aver atteso giorni e notti , al freddo, il ritorno a casa della mamma.

La piccina, di soli sei anni, stette fissa al capezzale della madre fino a quando la nonna, accorgendosi e avendo ampiamente compreso che il momento del trapasso era vicino, la obbligò a sedersi sulla soglia di casa, in attesa che la mamma sfilasse con gli angeli.

Era l’ anno 1894 quando il fabbro-ferraio e fondatore del partito repubblicano viareggino, Eugenio Barsanti, in cerca di un’ immagine che coniugasse la nostalgia di un affetto perduto e l’ amore filiale , inventò , per adornare l’ edicola funeraria della moglie defunta, Clorinda Beretta, la figura di una bambina di marmo, commissionando l’ esecuzione allo scultore carrarese Ferdinando Marchetti.

Secondo il racconto unanime degli eredi e degli amici del committente, per la statua posò la terzogenita, anch’ essa di nome Paolina.

Si pensi a questa figura femminile che nel corso degli anni, adolescente, donna matura, anziana signora, continua a vedere sé stessa piccola, come confinata quasi dentro un incantesimo che ha cristallizzato, probabilmente, il periodo più doloroso della propria esistenza.

Sul motivo originario dell’ opera si sono innestate alcune aggiunte o varianti con la contezza che si tratta di rielaborazioni leggendarie.

” Che fai bambina mia su quella porta guardando da lontan per quella via?

Ah sapessi, quando la fu morta la portaron via di là la mamma mia e mi hanno detto che di là deve tornare e son qui da tanti anni ad aspettare!

Cara bambina ma tu non sai che i morti al mondo non ritornan mai?

Tornano nel vaso i fiorellini miei, tornan le stelle, tornerà anche lei!”

I versi corrispondono a una poesia di Giovanni Prati dal titolo ” Tutto ritorna” che anticipa di circa mezzo secolo la scultura e a tutti gli effetti potrebbe esserne stata la fonte di ispirazione.

” La bimba che aspetta” è una storia popolare che ogni ragazzino sente in Versilia fin dall’ infanzia, un pò noir, un pò misteriosa.

Ci si affeziona a quella piccina, la si va a trovare, la si fotografa, racchiude storie di lutti e speranze e di mani callose di coloro che hanno saputo e ancora sanno accarezzare un blocco di marmo e farne anima.

Francesca Valleri