“UNA RISATA VI SEPPELLIRA'”
Potremmo disquisire se i comici o gli artisti del passato fossero più o meno performanti di quelli di oggi, fatto sta che chiunque sia in grado di rubarci una risata, consapevolmente o meno, ci salva la vita; ” Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo” ( G. Leopardi) perché la gioia apre alla condivisione ed è l’antidoto più potente all’individualismo e all’egoismo.
L’ Homo sapiens è anche Homo ludens; il divertimento giocoso insieme al riso sono elementi centrali nell’esistenza umana anche per esprimersi, per imparare, per dare significato e connotazione alle situazioni.
L’umorismo non offende, non circoscrive le persone nei propri limiti, non umilia.
Tommaso Moro era esempio lampante e personificazione dell’umorismo anche nell’attimo più tragico della sua vita terrena, quello immediatamente dopo la salita al patibolo: ” per quanto riguarda la discesa, lasciatemi fare da solo”, poi consigliò al boia di mirare bene poiché aveva il collo più corto e una volta poggiata la testa sul ceppo chiese che gli fosse preservata la barba, “essa non ha tradito, quindi non deve essere tagliata”.
Ridere è salvifico, libera il cuore, distende le rughe!
Ridere di cuore, di gusto, ridere a uno sguardo, a una battuta, a uno scherzo e se per Leopardi la risata era il salvagente umano in grado di arrecare conforto anche al cospetto dei dispiaceri più dolorosi e atroci non era dello stesso avviso Malachia, il bibliotecario ne ” Il nome della rosa”; ” non è lecito ridere”.
La partita la si gioca tutta sulle parole, soprattutto quelle pregne di eresia, si narra di un uomo condannato per aver tradotto dei testi, di un libro per il quale si può uccidere o morire e la parola si trasforma in un peccato, il più sacrilego; il testo della discordia quello di Aristotele sulla commedia greca: ” il riso uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede. Senza la paura nel demonio non c’è bisogno del timore di Dio”
Se dunque il riso distingue l’uomo dagli altri animali, il ridere eccessivo, a sproposito, crea lo scarto fra lo sciocco e il savio: ” risus abundat in ore stultorum”.
Pare che questa perla di saggezza sia stata coniata nel Medioevo dai signori del sapere, i quali ritenevano che la risata fosse una gran perdita di tempo oltre che una manifestazione inadatta alla loro posizione; nei Vangeli ufficiali si narra che neppure Gesù abbia mai sorriso perché non consono al suo stato.
Seguendo il criterio di quei signori eruditi vien da se che ” in medio stat virtus”, ammesso e non concesso di ponderare individualmente quale sia la misura concessa; lapalissiano oggi che il riso ( non il Carnaroli!) insieme alla risata, al netto delle contingenze, scarseggiano.
Sorge un dubbio… che si sia intrapreso la strada di una globale spersonalizzazione, se pensiamo che Mr Bean senza proferire parola era in grado di creare un accenno di sorriso sui nostri volti; altrettanto vero che con la risata né si fa spesa, né si pagano le utenze ma indubbiamente salvifica nell’alleggerimento di uno stato d’animo.
Oltremodo compare nei primi mesi di vita, dunque innata nell’essere umano e accumuna tutte le culture; si ride per gioia, si ride per rabbia o nervosismo, spontanea o forzata è inglobata nella nostra personale grammatica.
” Se avete in animo di conoscere un uomo, allora non dovete far attenzione al modo in cui sta in silenzio, o parla, o piange; nemmeno se è animato da idee elevate. Nulla di tutto ciò! Guardate piuttosto come ride”. (F. M. Dostoevskij)