THE MOTHER ROAD, LA STRADA “66”
La strada per antonomasia, nasce ufficialmente l’11/11/1926, in seguito all’esigenza di collegare, sia i piccoli centri rurali dell’America contadina con Chicago, sia il ricco Middle East con la California.
Un nastro di asfalto di ca. 4.000 km che si snoda attraverso otto stati USA: Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Mexico, Arizona e California. Dal freddo lago Michigan e dalla “città del vento”, al sole della California e alla spiaggia di Santa Monica. Il cartello che indica il punto finale viene rimosso alla fine di ogni pomeriggio e rimesso la mattina dopo. Routine necessaria per evitare che (come successo più volte) i fanatici del percorso, diventato un mito, rubino il cartello.
Nessuna altra strada al mondo ha riscontrato tanta attenzione da parte della cultura popolare. Libri, film e canzoni consacrano il mito della “66”, identificandola con ideali di speranza, libertà e ribellione.
A mio avviso, il miglior “manifesto” è quello che ne fa John Steinbeck nel suo romanzo. In “Furore”: “Il sentiero di un popolo in fuga, di chi scappa dalla polvere e dal rattrappirsi delle campagne, dal suono dei trattori e dal rattrappirsi della proprietà, dalla lenta invasione del deserto verso il nord, dai turbinosi venti che arrivano ululando dal Texas, dalle inondazioni che non portano ricchezza alla terra e la depredano di ogni ricchezza residua, da tutto ciò la gente in fuga, e si riversa sulla 66 dagli affluenti di strade secondarie, piste di carri e miseri sentieri di campagna, la 66 è la strada madre, la strada della fuga”.
Romanzo che, attraverso l’epopea della famiglia Joad ai tempi della grande depressione, narra la ricerca di una vita migliore verso l’Eldorado della California.
Viaggio che ritorna anche nella cultura musicale, nello splendido album di Bruce Springsteen del 1995, “The ghost of Tom Joad”. La pavimentazione venne completata nel ’38 ed il risultato fu reso possibile dagli sviluppi del “New Deal” roosveltiano. Negli anni della grande crisi economica impiegò migliaia di lavoratori provenienti da tutti gli stati. Molti si stabilirono lungo il percorso della “66”, contribuendone alla sua iconica fama.
Nel dopoguerra, la “66” incarna il nuovo ottimismo, la voglia di libertà ed evasione. Il periodo d’oro della motorizzazione americana con le automobili dalle grandi pinne e la voglia di vivere della gioventù, con il rock&roll ed i giubbotti di pelle.
Jack Keruac pubblicò nel 1957 “On the Road” (l’anno precedente l’inaugurazione dell’autostrada 140, che di fatto sostituirà la 66), contribuendo anche alla nascita del movimento hippies. Essi riscoprirono la strada in sella alle loro Harley Davidson e al volante dei loro pulmini colorati e “infiorati”. Un viaggio alla ricerca della libertà assoluta contro la società conformista ed il rifiuto della guerra del Vietnam. Poi, un periodo di appannamento.
Finché, a metà degli anni ’90, in diversi stati Usa nascono comitati civici per promuovere la nascita della “historic route 66”. L’obbiettivo era mantenere ancora il più possibile i connotati originali, sia a livello paesaggistico che di cartellonistica e di “servizi” accessori legati alla strada, quali stazioni di servizio, motel e drugstores.
Nel 1994 è passata sotto l’amministrazione federale come “monumento nazionale”… unica strada al mondo.