TELARAGNA
” La felicità che intendo io è quella del ragno che fa la ragnatela. Un ragno se non fa la ragnatela muore ma fare la ragnatela è di una complessità estrema e il ragno è un animale che risale agli albori dell’evoluzione. Come è possibile che realizzi un simile capolavoro, una geometria così perfetta? Eppure il ragno si mette lì e la fa”. ( R. Morelli)
Righe esaustive per compendiare la singolarità di questo minuto animaletto, il miracolo ingegneristico che è in grado di compiere e l’ambivalenza dietro al disegno.
Effettivamente, l’associazione ragno-empatia non evoca sentimenti positivi, tanto meno non può essere qualificato come l’inquilino migliore ma fuori concorso la sua personale attitudine all’architettura ( aggiunta alla chimica) che rende quei ” fili di seta” forti e tenaci nel tessere magistrali e minuziosi disegni; la ragnatela per catturare le prede, per realizzare una casa, per proteggere le proprie uova, per accudire i piccoli, per sedurre le femmine e accoppiarsi.
In greco ” Aràkhne” preso in prestito dalla “mitica” tessitrice Aracne, consegnataci da Ovidio nella ” Metamorfosi”, ammirata da tutti per la sua perizia, non riconoscendosi inferiore nel suo orgoglio neppure a Minerva, sarà punita proprio da questa.
Una gara di tessitura in cui le due rivali intrecciano arazzi ( diametralmente opposti, uno gerarchia dell’ordine, l’altro anticonformista); la stessa dea fu costretta, obtorto collo ad ammettere l’eccellenza del lavoro della sfidante, che dal confronto non ne uscì sconfitta ma che proprio per questo fu punita.
Metamorfosi in un ragno con la conseguente condanna a tessere per sempre, in perenne ricordo della sua sconfitta.
Se è vero che il mito è un ” enciclopedia”, Penelope è al capitolo ” tessitura”, con l’inganno, il giorno e la notte e il telaio, tutti elementi imparentati con il ragno che per sua natura custodisce dentro di sé; tessendo ordisce la sua astuta caccia.
” La tessitura è un’arte appresa proprio imitando il ragno e gli uomini sono i suoi discepoli” ( Democrito), mentre Esiodo precisava che il giorno più idoneo per drizzare il telaio fosse quello in cui il piccolo animaletto svolgeva i fili della sua tela.
La ragnatela con la sua struttura intrica e spesso polverosa assurge a simbolo di trascuratezza, dimenticanza, abbandono ma per la sua naturale ambivalenza anche la potenza materna, essendo al tempo stesso rete avviluppante e protettiva con i suoi filamenti setosi; la Grande Madre quale parallelismo con l’atto stesso della creazione che determina il destino con l’intreccio.
Come ogni animale, anche questo piccoletto non è esente dall’essere archetipo di vizi e virtù umane; nel bestiario medioevale era identificato con l’immagine del diavolo come simbolo di lussuria e opere vane, per i Celti rappresentava gli ostacoli dell’esistenza, gli Incas gli attribuivano poteri divinatori, chiudendolo dentro un vaso in attesa di vedere quante zampe avesse piegato e decifrare così un buono o un cattivo auspicio.
Il ragno tesse la ragnatela e l’uomo il dubbio e l’inquietudine, la perplessità e l’intreccio, dunque binomio perfetto fra capacità enigmatica e inquietudine come quella che evoca il labirinto ma da questo si può uscire ( come ci insegna il mito di Arianna).
Ma come si fa a uscire dalla ragnatela?
” Con che cosa colpisce la vita? Col tuono o col fulmine? No, con sguardi in tralice e sussurri di calunnie. Tutto in essa è perfido ed equivoco. Le basta tendere un filo, esile, come una ragnatela ed è finita; prova a tirarti fuori dalla rete! Ti ci invischi sempre di più”. ( B. Pasternak)