” SENZA VERGOGNA”

” La vergogna ci mantiene umani” diceva un certo Jean Paul Sartre.

Regolatrice, dalla notte dei tempi, degli scambi sociali con lo scopo di preservare il soggetto dall’esposizione a comportamenti eccedenti con l’ambiente e con se stessi impedendo così, anche di infrangere le regole.

Senza ” menare troppo il can per l’aia” la vergogna è morta e sepolta in compagnia del suo fedele compare il pudore; uniti costituivano una squadra formidabile, freno naturale all’esibizionismo, alla mediocrità e a tutto ciò che oggi può essere ascrivibile alla voce becero.

La si seppellisce e si idealizza così il banale; lo sguardo non viene più poggiato sull’individuo di rilievo e spicco bensì su quello anonimo, modesto, irrilevante.

Rozzezza e stupidità pascolano libere per le vaste praterie dell’ insignificante gareggiando a chi ce l’ha più lungo, a chi spetta il trofeo del narcisista autoreferenziale, convinte di essere divertenti, alla moda e popolari invece hanno scambiato l’ironia con l’ignoranza, la mediocrità con la simpatia, abbassato decisamente l’asticella del lessico per meglio entrare nel personaggio della porta accanto, quello del popolo.

Ma di popolo non c’è neppure l’ombra.

” Dove non c’è vergogna, manca virtù e onore”.

Dal pudore, quello che un tempo veniva chiamato discrezione, tutto si è rovesciato sul bisogno di esibizione spacciata per autenticità che come risvolto della medaglia, nasconde ( neppure troppo bene) il bisogno smodato di essere visti, notati e di conseguenza esistere.

Di quella vergogna che generava inquietudine, ansia e agitazione, che induceva ad abbassare lo sguardo e chinare la testa di fronte ad una personale conseguenza costituita da un atteggiamento ne era ben a conoscenza Warhol che l’ha saputa tradurre e descrivere in maniera magistrale fino al punto di affermare ” sono certo che guardandomi allo specchio non vedrò nulla”; esattamente quel “Nulla” quale musa inquietante del nostro tempo.

Chi meglio di Ulisse, travestito da mendicante nella propria dimora chiedeva l’elemosina ai pretendenti, guadagnandosi colpi e rimproveri: ” Vergogna, o popoli; è chiaro che l’intelligenza in voi non corrisponde alla vostra bellezza esteriore…”.

Per Kafka tale emozione si tramuta nel punto di snodo dell’intero racconto ne ” Il processo” a tal punto da annoverarla quale ” elementare purezza di sentimento” possedente due centrali caratteristiche non trascurabili; ” la reazione intima dell’uomo e quella socialmente esigente”.

Partendo dal presupposto che la vergogna è definita quale emozione dell’ autoconsapevolezza, l’assenza parla chiaro dello standing dell’individuo che non la possiede; nasce proprio in seguito all’autovalutazione di un personale fallimento rispetto ad uno standard desiderato, dalla disamina della propria inadeguatezza.

Impressiona l’arroganza, la spregiudicatezza nell’agire, la sfrontatezza nel giustificarsi.

Sulla Treccani quel ” sentimento di turbamento o disagio provocato dalla coscienza….”, per Nieztsche ” gli uomini non si vergognano quando pensano qualcosa di sporco, bensì quando immaginano che si attribuiscano a loro quei pensieri sporchi”, oggi la vergogna invece si è spostata di piano, ha abbandonato ufficialmente quello etico e morale e si è trasferita su quello del non successo dunque non visibile.

” Si è diffuso il pericoloso e falso concetto che democrazia significhi che la mia ignoranza vale quanto la tua cultura” (I. Asimov)

Francesca Valleri