” ME NE LAVO LE MANI!”

Ponzio Pilato rimane il prefetto più celebre consegnato alla storia e fa capolino in tutti e quattro i Vangeli, con l’intramontabile e iconica frase, ancora in uso oggi, ” Me ne lavo le mani” quando provò a evitare la condanna a Gesù lasciando al popolo la decisione finale, quella che tutti conosciamo.

” Non sono responsabile di questo sangue; vedetevela voi!”.

Il gesto di mondare le mani, oltre a essere una norma igienica, assurge al ruolo di ripulirsi la coscienza, alleggerirla dai vari ed eventuali sensi di colpa come quelli che divoravano Lady Macbeth tanto da farla camminare nel sonno la notte, lavandosi compulsivamente le mani nel tentativo di cancellare l’ immagine del sangue delle vittime.

Il prefetto indossa le vesti della neutralità, una ” dichiarata estraneità”, una sorta di Svizzera, volontaria, permanente, attiva e armata, che le ha permesso, per circa settecento anni, di superare praticamente indenne anche due conflitti mondiali.

” Neutralità” non è un sostantivo magico, complesso per declinazione, esteso per raggio d’ azione ( neutralità sportiva, cristiana, linguistica, che marca stretto anche il rapporto di laicità) e attualmente un termine che sta tornando in àuge; testimone agli albori del conflitto ucraino-russo dove campeggiava lo slogan ” né con Putin né con la Nato”, rimandandoci di colpo a un infelice ricordo, di infelice memoria ” Né con lo stato né con le Br”.

Se per ” neutralità” si intende il prendere le distanze dai personali giudizi , pensieri e azioni è possibile essere neutrali?

Socrate non palesava nessun dubbio al riguardo, fermamente convinto che lanciare in aria il cappello delle proprie convinzioni a favore di opzionabili diverse prospettive, potesse far giungere a questo stato di grazia.

Oggi lo scenario si è modificato e sul piatto della bilancia l’ ago della “neutralità” si sposta nella direzione dell’ indifferenza o dell’ apatia tanto da tacciarla quale travestimento del privilegio e dell’ inazione; riconoscendole un fine auspicale e la caratteristica del vero lusso, doverosa la presa di coscienza che sia quasi impossibile da conseguire poiché, anche se in minima parte soffrirà certamente di un qualsiasi retaggio di pregiudizio personale derivato dall’ educazione, le esperienze e la forma mentis.

Credere a spada tratta nell’ illusione della ” neutralità” si porta dietro una serie di conseguenze, anche sociali da non sottovalutare; se inizialmente può essere declinata quale facciata di rispettabilità, obiettività ed equità, in realtà cela il rovescio della medaglia, ovvero gioca il ruolo di pedina strategica al mantenimento di certe dinamiche o poteri esistenti, un Robin Hood dello status quo.

Il mito della neutralità dovrebbe essere riletto con una mano sulla coscienza.

” Vi sono momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile…un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre”. ( O. Fallaci)

Parafrasando l’ illustre fiorentina con una buona dose di contezza arrendersi all’ incontrovertibile verità che la ragione è schiava delle passioni e auspicare di utilizzare la ” neutralità” come fosse un ombrello, a casa con il bel tempo e fuori quando piove procurerebbe un torto alle personali intelligenze.

Francesca Valleri