“LIBIAMO, NE’ I CALICI LIETI”

Siamo a Parigi, ricevimento mondano durante il quale Alfredo, seguito subito dopo da Violetta, propone un brindisi che non è un “in alto i calici” qualunque ma racchiude, nella parola stessa l’assaporare e il degustare lentamente: libare l’amore, libare la gioia.

L’orchestra attacca a tempo di valzer: ” Libiamo nei lieti calici che la bellezza infiora e la fuggevol ora s’inebria a voluttà/ Libiam ne’ dolci fremuti che suscita l’amor…/libiamo, amor fra i calici, più caldi baci avrà”.

Un invito a godere del presente, ” di doman non v’è certezza”, lo stesso spirito che si ritrova in quello intonato da Maffio Orsini ( Doninzetti): ” scherzo e bevo e derido gl’insani che si dan del futuro pensier. Non curiam l’incerto domani, se quest’oggi n’è dato a goder!”.

Famosissimo il brindisi della ” Cavalleria rusticana” di Mascagni (con un epilogo diverso); è terminata la Messa di Pasqua e Turiddu invita tutti a bere nell’ osteria della madre.

” Viva il vino spumeggiante, nel bicchiere scintillante come il riso dell’ amante mite infonde il giubilo! Viva il vino ch’è sincero, che ci allieta ogni pensiero, e che annega l’ umor nero nell’ebrezza tenera!”.

Da romagnolo, encomiabile elogio al Sangiovese per mano del Pascoli ” Cara Ida…un sangiovesino…che l’ assomiglia il tipo di quello di Sogliano e mandalo, sarà sempre il benvenuto”…dove spesso vi annegava le proprie tristezze e malinconie tanto che finì per ammalarsi di cirrosi epatica.

Nel confronto poetico con questo nettare di Bacco, l’unico rivale di Pascoli era il Carducci, lungo la Strada dei Cipressi che porta fino a Bolgheri, il ” ribbolir dei tini” diventando appassionato intenditore e gran bevitore, tant’è che le collaborazioni con la rivista letteraria ” Cronaca bizantina” venivano regolate in Vernaccia a barili!

All’inizio era una libagione, una consacrazione di vino a una divinità unito a un gesto di buon augurio, prosperità e salute; con il Rinascimento, il brindisi assume un significato anche sociale.

Ad oggi è il rito conviviale per eccellenza, corrisponde esattamente all’istante prima del sorso nel quale si uniscono la curiosità di assaggiare quanto si ha nel calice e i pensieri belli da dedicare a chi si ha accanto e anche a chi non c’è più ma lo vogliamo celebrare innalzando il calice, una sorta di omaggio unito al ricordo e ci piace pure pensare che il libare abbia visto la luce proprio con il vino.

Antico e ben augurante, ci permette di entrare in contatto con l’altro, alzando i calici e facendoli tintinnare tra loro ( il Galateo non ci ascolta!), costruiamo relazioni esclusive, il tempo si dilata e si irrompe nell’individualità del singolo; guardare negli occhi la persona con la quale si brinda quale segno di sincerità.

E poi siamo di fronte a una bevanda complessa e strutturata come il vino, un marcatore di spazi culturali ,un’ esperienza totalizzante per tutti i sensi, compreso l’udito nel caso delle bollicine; un liquido potente, affascinante per nuance, evocativo tanto da reggere da solo l’intera tela di Mirò, ” La bottiglia di vino” quale unico attore protagonista di uno spazio astratto.

Un ” Bacco” giovane, muscoloso, rilassato e in salute quello di Caravaggio; una caraffa e il giovane dio offre la coppa di vino appena versata, forte carica sessuale il che rimanda alla disinibizione che l’alcol accentua nell’ uomo, insieme alla corona di foglie di vite e grappoli di uva bianca e nera.

E se per il Galateo è severamente vietato richiamare l’attenzione degli invitati percuotendo con una posata il bicchiere o bere prima che l’anfitrione o il festeggiato abbia dato il suo ” consenso” con un brindisi è altrettanto vero che le buone maniere sono altresì pratiche di gentilezza sincera volte a far star bene i nostri cari.

Felicità, gioia, condivisione…alcune delle ragioni per innalzare i calici; brindiamo agli inizi, alle albe, a chi è partito e a colui che è appena tornato, ai tramonti, a domani.

A voi, a noi, in alto i calici…Prosit!

Francesca Valleri