E’ il perno narrativo di ” Perfect Day”, l’ ultima creatura cinematografica di Wim Wenders.

E’ un termine che non trova corresponsioni linguistiche né in italiano, né in inglese, tant’è che in Giappone si sono adoperati per ” inventarne” uno di sana pianta, ad hoc, composto da tre diversi ideogrammi specifici, quali albero, splendore e sole: ” Komorebi”, ” la luce che filtra tra i rami”, quella che ha catturato e fissato Monet ne ” Il sentiero nel giardino”.

Si traduce così un fenomeno ottico che racchiude un’ immagine ” romantica” e se ne costruisce un altro, puramente simbolico, che entra a gamba tesa nella sfera emotiva, evocando un istante calmo, irripetibile, distensivo e pacifico di un luogo amabile.

Al centro della narrazione, un uomo, Hirayama, il ” Signor Nessuno” ,che pulisce i bagni pubblici di Tokyo e proprio questa location è teatro di giornate eccezionalmente quiete, ritmi compassati e cortesie; al ritorno a casa la sera, la lettura di un libro e l’ascolto di un disco.

Il contesto un’ abitazione apparentemente scarna, quasi spoglia, fatta solo di essenziale.

Durante la pausa pranzo, scatta fotografie alle chiome degli alberi, o meglio a quella nuance di luce, sempre in continua mutazione, che trapassa le foglie sottili come veli di carta velina; il fine settimana si dedica allo sviluppo delle istantanee che troveranno dimora in un grande archivio dentro l’ armadio.

Il dipanarsi della storia prevede imprevisti da risolvere e la discesa in campo di personaggi negativi che scivolano di soppiatto nelle retrovie perché si viene attratti, come calamite, da questa aurea di calma sprigionata da una vita apparentemente piatta ma che in realtà, scremata del superfluo fa approdare al bene comune e a quella serenità tanto cercata.

Una pellicola e una trama che non hanno gesti o coreografie clamorose, un po’ come il Signor Nessuno, mite e silenzioso ma che si fonda sugli effetti dell’ impercettibile.

Komorebi non è un termine da leggere bensì da sentire con il cuore; nella sua essenza sottolinea la positività e il reale valore delle piccole cose, che piccole non sono, la luce, che sono propedeutiche nel dissipare ansie e dubbi, le ombre, quel bagliore dal quale si sprigiona uno stato d’ animo.

In italiano ” la luce in fondo al tunnel”, come se il danno e il dolore fossero qualcosa di oscuro, da attraversare obbligatoriamente per tornare in superficie, in giapponese è il tunnel, il naturale evolversi del cammino al quale nessuno può sottrarsi.

” Due ombre che si sovrappongono sono più oscure?”. ( Perfect Day)

Il protagonista conduce una vita monotona, compie i medesimi gesti, sorseggia il medesimo caffè dal distributore ogni santo giorno, consuma il suo pasto sedendosi in giardino, parla poco e tutto si ripete apparentemente sotto una monotonia insignificante; in compenso sorride, sorride tanto, incarnando quell’ umiltà che si manifesta con lo stupore e l’ amore per il mondo, per le cose che stanno così come sono e la consapevolezza della propria parzialità.

” Komorobi”, la bellezza della vita di tutti i giorni.

” Perfect Day” che si ispira a Lou Reed in quel verso ” You ‘re going to reap just what you saw”, raccoglierai ciò che semini; la semina, in questo caso, di Hirayama, il “Signor Nessuno”.

I giorni apparentemente simili, sono diversi gli uni dagli altri come differente la luce che filtra tra i rami; stare nell’ essenzialità è risiedere nella condizione del presente.

” Komerobi è il termine giapponese che indica il luccichio di luci e ombre creato dalle foglie che ondeggiano al vento. Esiste solo una volta, in quel momento”. ( Perfect Day)

Francesca Valleri