LA MELA DELLA DISCORDIA

La mela della discordia non è solo quella insegnata al catechismo o assaggiata da Adamo e Eva.

Rossa, tondeggiante, lucida, è personificazione di potere e seduzione, ricchezza e lussuria; dal frutto proibito del Paradiso all’ alimento avvelenato nelle favole, dal rimedio dell’ immortalità nella mitologia a pomo della discordia.

Nella società greca frutto costoso e afrodisiaco; se un giovane avesse voluto fidanzarsi, avrebbe dovuto lanciare una mela all’ amata, che l’ avrebbe raccolta, se disposta a concedersi.

Nel Sacro Impero Germanico, il globo crucigero, simboleggiante la terra che il Kaiser impugnava nella mano sinistra, era ” la mela dell’ Impero”.

Un giorno la dea della discordia , risentita per il mancato invito al banchetto degli dei, lanciò sulla tavola una mela …” Ti callisti”, ( “Alla più bella”).

Il parapiglia che ne conseguì è leggenda, pura bagarre fra Atena, Afrodite, Era e Zeus che sfociò in una guerra.

In questa novella, ad oggi apparentemente fuori tempo e decisamente obsoleta, c’è il ritratto dell’ umanità, per la precisione una fotografia ante litteram dei giorni nostri.

E’ presente la radice dell’ invidia, che semina discordia e ha contezza, nel poco e sufficiente, per corrompere il cuore e la mente.

Sentimento di lapalissiana insofferenza per il bene altrui subentrante nel momento in cui avviene la relazione con l’ altro e si mettono in evidenza le differenze.

Ob torto collo, come faceva notare illo tempore Montanelli, l’ Italia è anche un paese di invidiosi :” Quando un italiano vede passare una macchina di lusso il suo primo impulso non è averne una ma tagliarle le gomme”.

Il tutto nasce da un confronto non percepito alla pari.

Incapace di ammirare chi si fa un mazzo tanto dalla mattina alla sera, impegnato nel frattempo a sminuire il lavoro degli altri, inabile nel gioire del successo altrui , caparbiamente occupato nel criticare e demolire con artiglieria pesante, eludendo così l’ osservazione critica e approfondita, orgogliosamente inadatto nell’ ammettere che può ” esistere” un meglio al di fuori di lui.

Proverbiale la favola di Esopo della ” Volpe e l’ uva”.

Nell’ invidia però anche il carattere gioca il suo ruolo, assimilabile ad un involucro , plasmato dall’ esperienza; paragonabile al nucleo della personalità, l’ invidia rappresenta un qualcosa di immaturo e primordiale.

Nella Bibbia è il peccato di Lucifero, che non tollerava la vicinanza dell’ uomo a Dio, di Esaù nei confronti di Giacobbe e quello di Saul verso Davide perché amato e benvoluto dal popolo di Israele.

Livore ,sentimento di malevolenza verso gli altri, atrocemente doloroso, che mette in atto quale ” naturale” conseguenza rancore e ostilità nei confronti di chi possa possedere una qualunque cosa o caratteristica che l’ invidioso non possiede; agisce quale meccanismo di difesa , un meschino tentativo di recuperare stima e amor proprio attraverso la svalutazione dell’ altro.

Il successo altrui evidenzia i limiti personali .

Semina sospetto e diffidenza: Caino e Abele.

” Superbia, invidia e avarizia” le tre fiamme che hanno incendiato i cuori degli uomini.

Dante lo alloggia nella seconda cornice del Purgatorio come ciechi che chiedono l’ elemosina; i lori occhi cuciti da un fil di ferro e dalle cuciture trapelano le lacrime.

Il contrappasso è lapalissiano; in vita non hanno guardato gli altri, la stessa Sapìa senese pregava per la disfatta dei propri concittadini ghibellini nella battaglia che li vedeva contrapposti ai fiorentini presso Colle Val d’ Elsa.

La vista evocata da Dante è direttamente richiamata all’ invidia, come causa di allontanamento dalla verità e dalla ragione; ” invidere” ovvero ” guardare male” come nei lessici medioevali ” ti invidio” significa ” non ti vedo”.

In soldoni individui litigiosi, rancorosi con livore da vendere al miglior offerente.

” Dobbiamo credere nella fortuna altrimenti come potremmo spiegare il successo di chi non ci piace?” ( J. Cocteau)

Francesca Valleri