” LA CURA” SECONDO “LEON”

“Fiaba” metropolitana, il cattivo che stermina la famiglia della bambina e la bambina entra nella tana del lupo per chiedere aiuto.

Il Lupo e Cappuccetto Rosso, si annusano, si riconoscono, si prendono per mano nel tentativo di andare avanti e di salvarsi, con un bene schietto, primordiale, un po’ come la pellicola che tira diritto per la sua strada.

Questa è la storia di Léon, killer professionista, che beve litri di latte e che preferisce prendersi cura di una pianta piuttosto che relazionarsi con il genere umano e Mathilda, una ” Lolita” da un lato dark evidente, due gatti randagi, due disgraziati.

A raccontarla è Luc Besson che, neppure troppo velatamente , tinge con nuance di azione e thriller l’ intera narrazione, per rallentare, facendo così riprendere fiato allo spettatore, solo e soltanto sul cuore della ” fiaba”; la piccola e il criminale, il padre putativo e la figlia inquieta, il mentore e l’ allieva.

Natalie Portman trova “semplicemente” qualcuno che le insegna a crescere e Jean Reno riscopre, nella curiosità e spontaneità della ragazzina, una spinta che si era sopita da tempo.

Lei lo educa alla grammatica nel vero senso della parola e anche a quella degli affetti, lui a sopravvivere in un mondo che non fa sconti.

Un viaggio al contrario, si parte dalla morte e si giunge alla vita; la bambina è la fugace prospettiva di una vita ” normale”, uno scambio reciproco di attenzioni per un uomo solitario, eremita ed emotivamente bloccato.

Una storia di guarigione dai graffi dell’ anima attraverso l’ amore in grado di curare le ferite dell’ esperienza e della sofferenza…” Ed io avrò cura di te…” come decantava Battiato alla sua amata, promettendo sollievo da ” paure e ipocondrie, dai dolori e dagli sbalzi d’ umore” attraverso intelligenza, pazienza, generosità, rispettando la capacità dell’ uno di deformarsi senza rompersi e dell’ altro che si prende cura, l’ arte di riparare.

Un rapporto empatico che si mette in ascolto l’ uno dell’ altro, non promettendo un amore eterno ma un amore ben custodito.

L’ ossimoro, una grammatica fatta di dolcezza platonica, consapevolezza che la poesia giungerà al termine, schiantandosi contro la concretezza del mondo reale e due paia di occhi che rimangono luminosi nonostante tutto.

Cappuccetto Rosso e il Lupo pericoloso, che per mano, hanno dato alla luce , con estremo tatto un sentimento che lega questi due sopravvissuti.

Per dirla alla Fossati la ” Costruzione di un amore”, l’ importanza della pazienza, la costanza del cuore, perché ” la vita è un’ opera difficile che richiede molta intelligenza ma soprattutto molto cuore” e l’ amore ha così tante declinazioni e forme ma un unico comune denominatore: la verità rivelata dalla sua medesima essenza.

E dunque Léon e Mathilda hanno sperimentato il mutuo soccorso e la condivisione e la bambina ha virato, in modo irreversibile, la missione del sicario; non più uccidere qualcuno ma farlo crescere, prendersene cura, un po’ come la sua pianta.

” Come ti chiami?”

“Lèon”

” Che nome cazzuto!”

Francesca Valleri