L’ INFLAZIONE DELLA FELICITA’
Esiste l’ inflazione della felicità?
In economia senza ombra di dubbio.
” Se la ricchezza non fa la felicità, figuriamoci la povertà”.
Con questa freddura , Woody Allen, lancia l’ assist agli economisti, facendola diventare, a sua insaputa, uno dei paradossi più sfruttati.
L’ indice della felicità viene adottato in Nuova Zelanda scomodando il pil; tanto più questo è elevato maggiore sarà lo stato di salute del paese e di conseguenza anche quello della popolazione.
Ricchezza e beni materiali sono considerati ” conditio sine qua non ” per condurre una vita felice cullata possibilmente da fama e prosperità economica.
La stima nei confronti di chi possiede un ingente patrimonio sono la prova di come il denaro sia considerato un bene di valore universale e assoluto capace di rispondere a qualsiasi bisogno ed esigenza.
E ovviamente anche l’ economia segue questa linea.
Progresso e crescita economica sono l’ obiettivo primario di ogni stato.
Il benessere della popolazione è la diretta conseguenza del miglioramento delle condizioni di ogni cittadino.
Su questo assioma il professore Easterlin ha formulato il suo paradosso secondo il quale , all’ aumentare del reddito e del benessere corrisponde evidentemente un incremento della felicità umana ma con più di una riserva.
La prima , si rifà al principio dell’ adattamento; quando acquistiamo un bene la gioia che ne deriva ha un effetto temporaneo, con il trascorrere del tempo il sentimento di novità andrà esaurendosi.
La seconda è che, l’ incremento del reddito, comporta un aumento dei desideri dei consumatori e Pelevin, in ” Generation P” ne da un senso concreto con un esempio ” calzante”.
Negli anni ottanta l’ acquisto di un paio di scarpe da ginnastica era motivo di gioia, oggi, per ottenere la medesima felicità, non solo lo sforzo sarà maggiore ma la calzatura, quindi l’ oggetto del desiderio, sarà sostituito da una casa.
Si scopre che questa rincorsa , dettata probabilmente dalla necessità di eccellere in tutto è generata dalla varietà di scelta che si è moltiplicata in tutti i settori invadendo soprattutto la sfera personale apportando modifiche nell’ atteggiamento del singolo di fronte anche agli eventi.
Nutrire il costante desiderio irrazionale di una perfezione inesistente, l’ assegnare ad altri degli standard di eccellenza non corrispondenti alla realtà, implica fin troppe opportunità di frustrazione.
Questa sfiancante ricerca genera il più epocale paradosso, quello di renderci infelici avendo lo scopo di essere più perfettamente felici.
La facilità di scelta ha implicato ignorare paure, ansie e rabbia innescando la disabitudine a riconoscerle e di conseguenza a gestirle.
Dopotutto invece di affrontare un ostacolo fin nell’ immediato viene offerta la possibilità di compiere una scelta diversa, come se tutto fosse riconducibile ad un paio di scarpe; sono fuori moda, le getto.
Così…perchè custodire amicizie quando i social ne forniscono di nuove tutti i giorni?
Perchè investire in una relazione vista la facilità di incontrare nuovi partners?
La felicità aumenta la sua posta nel momento in cui cessa il rispetto della scelta fatta e ponderata.
Non esiste un numero definito che qualifichi quante opzioni si possano prendere in esame quotidianamente, il tutto dipende esclusivamente da un personale modo di essere e di agire.
Ogni individuo è artefice delle proprie azioni.
E’ richiesto il coraggio di abbracciare consapevolmente, in toto, le proprie scelte e sorridere malgrado qualcosa non vada come preventivato perchè è in quel preciso istante che vengono poggiati i mattoni delle singole esistenze, esattamente fra un sorriso ed un altro.
Potrebbero rivelarsi scelte dalle quali il tornare indietro non sempre è previsto ma è in quella circostanza che prende vita la costruzione dell’ individuo.
Il padre dell’ Economia della Felicità, Lord Layard non ha dubbi: ” Per essere contenti di vivere occorre consapevolezza anche quella di appartenere a qualcosa di più grande, così che evitiamo di preoccuparci troppo di noi stessi”.