INTERNATIONAL KLEIN BLUE

Da sempre esistono le rarità.

Se tale affermazione la si circoscrive al mondo dell’ arte, incontriamo la peculiarità; Tondo Doni di Michelangelo, Testa di Medusa di Caravaggio, unici dipinti dalla foggia circolare.

Se tentiamo di spingerci oltre, restringendo ancora di più il cerchio, incappiamo nell’ unicità ” moderna”, impersonificata magistralmente da Yves Klein, il signore del blu!

Precursore della body art, approdato all’ arte concettuale sul finire degli anni ’50, da una lunga liaison con Lucio Fontana, scaturita da un’ istantanea empatia sbocciata alla Galleria Apollinaire, durante l’ esposizione ” Proposte monocromo epoca blu”, un titolo quasi esoterico descritto nella vulgata come una ” banale” esposizione di soli dipinti blu, artefice della pittura monocolore, ciò che l’ arte fino ad allora aveva espresso con una figura, fu in grado di realizzarlo con una sola nuance; il padre dell’ ” International Klein Blue”.

Klein aveva nelle vene, nell’ anima, nella testa non un blu qualsiasi ma uno ben preciso, difficile da ” sentire” poiché quando il pigmento secco veniva miscelato con il solvente, perdeva brillantezza.

La sua idea era che ” il colore blu fosse associato al mare, al cielo, alla spiritualità”, orfano di dimensione a differenza di altre nuance, scavallando così il concetto di superficie.

Si dedicò anima e corpo realizzando ciò che in una vita aveva sempre desiderato trovare ( ” la cerca chi trova”, Guttuso),un blu oltremare intenso, luminoso, totalmente avvolgente che definì “l’ espressione più perfetta del blu”.

Un anno di esperimenti fino a quando una serie di pigmenti legati a una soluzione fluida a base di etere ed estratti di petrolio, uniti in matrimonio, dettero alla luce il miracolo.

” Prima c’è il nulla, poi il nulla più profondo, infine una profondità di blu”.

Per Klein non rappresentava una semplice nuance piuttosto il fulcro nevralgico della sua personale ricerca stilistica, non una vernice quanto una filosofia , un messaggio, interpretando così il protagonista delle sue opere.

Cielo e terra si incontravano e si riconoscevano in un nulla profondo, un abbraccio vellutato che invadeva con potenza, forza e prepotenza lo spazio reale e l’ immateriale, il visibile che diventava invisibile.

” Sono giunto a dipingere il monocromo perché sempre di più davanti a un quadro, figurativo e non, provavo la sensazione che le linee e tutte le loro conseguenze componevano le sbarre di una finestra di una prigione”.

Linee, prospettive e forme verranno inglobate e assorbite da quell’ unica stesura di colore compatta e uniformante che tinteggerà la tela in modo tale da creare un impatto visivo violento.

Per l’ artista ogni singolo monocromo costituiva un mondo a parte e si rivelava con un’ essenza differente; una mostra con undici quadri di medesimo colore e dimensioni con prezzi diversi perché ognuno possedeva una spiritualità differente.

La speranza di una vita quella di catturare il vuoto; quel suo blu, quasi alieno, la rappresentazione tangibile di fare esperienza senza l’ utilizzo della linea.

Prima di morire confidò :” sto per entrare nel più grande atelier del mondo e allora non creerò nient’ altro che opere immateriali”.

Lunga vita all’ immateriale!

Francesca Valleri