IDENTIKIT DI UN “INFLUENCER”

Più di cinquanta milioni le persone on line ogni giorno, trentacinque milioni quelle attive sui canali social, in definitiva più del 58%.

In questo confortevole e confortante scenario si sono accomodati gli influencer divenuti oramai oggetti comunicativi appartenenti, in maniera stabile, al panorama mediale.

Per definizione ” personaggio popolare, soprattutto in rete, in grado di influenzare l’ opinione pubblica riguardo ad un certo argomento”; nella maggior parte dei casi non è neppure noto chi siano di preciso, pseudo medici influencer, food influencer, book influencer che suggeriscono l’ acquisto di un libro perché gradito a loro.

Traducibile in loro non sono ” nessuno” se non milioni di follower che per definizione rappresentano i seguaci, coloro che vogliono essere influenzati.

La parola ” influencer” di per sé ha sovente declinato un significato squalificante, se poi ci soffermiamo sul fatto che tale individuo, per natura influenza, ancor peggio l’ influenzato, colui che mette i ” like”, il metro di giudizio.

Più sei bravo più detieni plotoni di follower, più intelligente sei meno ne hai!

Profili di scrittori o titolati esperti di argomenti, orfani di seguaci, archiviati nella cartella ” sfigati”, con l’ unica colpa di trattare temi più complessi con un’ innegabile contezza con la quale vengono argomentati ed espressi.

Nel non lontano 2015 durante la consegna di una laurea honoris causa la frase ” i social media sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola a legionari di imbecilli che prima parlavano solo al bar” è divenuta l’ ultimo strale mediatico della vita di Umberto Eco.

In realtà questa sarcastica e consapevole affermazione, a tratti inconfutabile, non ha fatto altro che confermare la sua stessa verità.

Dunque, il diritto di accesso alla rete è di tutti, imbecilli compresi e non per concessione del web piuttosto della Costituzione.

La domanda da porsi sarebbe : ” cosa fare di fronte all’ esistenza degli imbecilli?”… che non sono una categoria inventata dalla rete che semplicemente ha concesso loro la stessa platea dei Premi Nobel.

I media non creano ma coltivano, promuovono e gratificano l’ imbecillità in primo luogo perché fa anche vendere.

E’ un dato di fatto che un’ idiota spaventi meno di uno in gamba e nello stesso tempo permetta ad un suo pari di aumentare la propria autostima compiacendosi della limitatezza altrui.

” La popolarità quindi non richiede una particolare genialità anche se l’ intelligenza non è un impedimento…per avere successo meglio essere un pò cretini. Cretini ma popolari”. (G. Gaber)

Fuori discussione che i social abbiano modificato la direzione comunicativa alto/basso in favore di una senza intermediari.

Altrettanto inconfutabile che oggi conoscere i fatti, essere informati non è più ritenuto il fine piuttosto il mezzo attraverso il quale anche sedersi ad un talk show.

Qualcosa di ben più preoccupante dei cinque minuti di popolarità ma la colpa non è del coltello sul banco degli imputati ma di chi l’ ha usato.

Francesca Valleri