A FIRENZE LA PIU’ ARTISTICA DELLE ROTONDE URBANE

Le radici dell’ emigrazione elvetica dell’ Ottocento affondano nel cimitero protestante, fuori dalle mura della città gigliata, precisamente a Piazzale Donatello, in un contesto di stridente contrasto; un’ isola silenziosa fatta prigioniera dal traffico dei Viali di Circonvallazione, trasformata nella più artistica delle rotonde urbane.

Un percorso turistico decisamente insolito, escluso dai circuiti di massa.

I cimiteri sono luoghi del silenzio, invitano alla preghiera, degni di essere visitati come anche autentici monumenti d’ arte, musei a cielo aperto: e in questo luogo monumentale abbondano statue in marmo, l’ Allegoria della Speranza e della Morte, sarcofagi in tutte le fogge sui quali campeggiano simboli di rinascita incisi sul marmo, soli alati e un tappeto profumato di iris , del quale si prendono cura una famiglia Rom in cambio di lezioni di italiano ( soprattutto fiorentino!).

Potrebbe essere definita un’ isola sospesa, di marmo e verde vestita, che emerge nella quotidianità veloce cittadina e che in pochi si soffermano nell’ attraversare la strada per vederla.

Un vero peccato!

E’ un cimitero protestante, aperto per ospitare le salme dei non cattolici e non ebrei a Firenze, che dona l’ eterno riposo a più di mille anime fra uomini e donne di nazionalità diverse ( circa una quindicina) che nel linguaggio comune è sempre stato identificato come ” Cimitero degli Inglesi”, probabilmente perché tale comunità era la più numerosa ma realizzato per mano della Chiesa Evangelica Riformata Svizzera che una volta acquistato il terreno avviò la costruzione nel primo trentennio dell’ Ottocento.

Varcare il cancello di ingresso significa dar vita ad un viaggio nel tempo e nello spazio, rapportarsi con i diversi modi di concepire la morte, l’ arte, il simbolismo e persino i font con i quali sono trascritti i nomi dei defunti.

E’ un mappamondo a portata d’ occhio, un luogo multiculturale, Israele, Paesi del Nord Europa, Egitto con il quale vi è una stretta correlazione in primis poiché il primo defunto ad aver sepoltura fu una schiava di colore, Nadezhda De Santis, approdata a Firenze con la spedizione di Francois Champillion, in secundis perché molte tombe hanno richiami a questo antico paese con piramidi, scarabei alati e farfalle che escono dalle crisalidi.

Più ci si addentra nel camposanto più si ha l’ impressione di un candido disordine.

Ciò che salta agli occhi è osservare sepolture di quelli che erano schiavi e servi insieme a quelle dei più nobili e contraddizione nella contraddizione le tombe di coloro che non ebbero rinomanza in vita sono più suntuose di quelle dei ricchi, come se la morte fosse una livella stravolgendo il normale ordine delle cose, ricordando che niente di ciò che è importante nel mondo dei vivi ha senso nell’ altro.

Una specie di ” Spoon River” toscana, tragica e romantica che i fiorentini hanno rinominato l’ ” Isola dei morti” e che , all’ atto pratico, ha dato il via ad una serie di ispirazioni artistiche; il pittore svizzero Arnold Bocklin e il suo celebre dipinto manifesto del simbolismo, che Hitler acquistò in una delle tre copie esistenti.

Il compositore russo Rachmaninov ne fece un poema sinfonico dal quale Freud, Dalì e D’ Annunzio ne furono letteralmente ossessionati.

Ad oggi le tombe sono poco meno di millecinquecento fra le quali spiccano i nomi della scrittrice Elisabeth Barrett Browing , Giovan Pietro Vieusseux e parte dei familiari di Shakespeare.

E’ un luogo che fa memoria, la custodisce e la restituisce a dispetto del tempo che passa.

Leggenda vuole che al tramonto sia possibile osservare il fantasma di Lord Byron che cammina malinconico fra le tombe abbracciate dall’ iris e dalla verticalità dei cipressi.

Francesca Valleri