SE MI CHIAMI VIVO DI PIU’

” Una telefonata allunga la vita” recitava uno spot pubblicitario degli anni ’80, quando l’apparecchio telefonico era un totem in salotto accanto al centrino all’uncinetto fatto dalla nonna; la frase è rimasta intatta, quasi vestita da mantra e ancora oggi resiste e persiste nonostante i telefoni in casa siano da museo.
Eppure quello slogan custodiva una verità incontrovertibile travestita da trovata di marketing: comunicare nell’accezione più umana del termine, non un passatempo piuttosto un gesto per allungare la vita interiore…perché come raccontava Calvino ” la leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto” e quale, dunque, miglior leggerezza se non quella di una chiacchierata per il gusto di sentirsi?
WhatsApp, Telegram, Messanger e affini: la telefonata quella vera è diventata un atto di maleducazione.
Oggi se qualcuno chiama senza preavviso sembra quasi un’invasione barbarica: ” chi è morto?”, ” cosa è successo?”, ” avrà avuto un incidente?”.
Al di là dell’ironia, dell’aneddotica tecnologia e della malinconia retrò, resta la nuda verità: comunicare non è un accessorio dell’esistenza umana ma la sua sostanza.
Aristotele definiva l’uomo ” l’animale che possedeva il linguaggio” e in questo possesso fragile, imperfetto, sovente maldestro si gioca tutta la nostra possibilità di vivere insieme; Lucio Dalla con la sua ” Telefonami fra vent’anni” aveva già sottolineato che il telefono non era solo un oggetto ma una metafora di attesa, di speranza, di un futuro che avrebbe potuto unire le persone.
Comunicare si palesa come riconoscere l’altro quale interlocutore, un atto che sottrae alla solitudine radicale perché ” L’esistenza è composta di solitudini che cercano un varco” ( Rikle), un piccolissimo punto di incontro dal quale prende vita la parola quale ponte.

La telefonata conserva un valore che trascende dalla mera trasmissione di parole, è un atto che restituisce alla voce la sua dignità originaria, la vibrazione del timbro, di un respiro e la pausa che talvolta vale più di un discorso.
Il fumetto, con la sua attitudine a trasformare il quotidiano in epico, non poteva che regalare una splendida pagina di attesa, con Charlie Brown letteralmente appeso a quel filo per dichiararsi a quella ragazzina rossa che non rispondeva mai, i supereroi della Marvel costretti a inventarsi una cabina telefonica e Superman che senza il telefono pubblico mai sarebbe stato Superman.
Comunicare non sono un insieme di informazioni, comunicare è un atto di vita, ogni creatura a modo suo si prodiga nel farlo, come le balene con i canti e le stelle la cui luce impiega secoli per raggiungerci.
La consapevolezza della fragilità generando vulnerabilità spinge, quale rimbalzo di un elastico, a cercare l’altro, una mano tesa, un invito vero e proprio senza il quale la vita anziché espandersi rischierebbe di ripiegarsi su stessa, snaturandosi in mera sopravvivenza.
Platone descriveva i dialoghi ” quali farmaci dell’anima”, non a caso “comunicare” e “comunità” condividono la medesima radice dove non si contempla lo scambio ma la costruzione ( di legami) per dirla alla Fossati; è la trama invisibile che intreccia le esistenze, l’ordito silenzioso che assegna all’esperienza umana una dimensione corale, quando cessiamo di comunicare smettiamo anche di appartenere.
Se ” una telefonata allunga la vita” c’è il rischio oggi che una chat di gruppo l’accorci drasticamente, con 260 messaggi su ” chi porta il dolce domenica”, non si costruisce un ponte ma un’autostrada verso l’esaurimento nervoso!
L’atto di alzare la cornetta è un atto di cura e tempo donato, è la dimostrazione che, malgrado la velocità della modernità, resta in noi il bisogno di “sentire” un’altra anima.
Forse e sottolineo il forse, la saggezza sta nel distinguere la comunicazione che nutre da quella che intasa e ogni tanto osare il gesto di alzare il telefono e dire ” Ciao, come stai?”.
