L’ ETERNO ” GLADIATORE”: RIDLEY SCOTT

Di qualche settimana fa, un selfie di Russell Crowe, che lo ritrae, con la sua famiglia , di spalle al Colosseo: “Sono tornato al mio vecchio ufficio!”

Impossibile non sorridere di fronte a questa battuta che poi tanto battuta non è; quel luogo lo ha consacrato.

Impossibile non riavvolgere il nastro di ventun anni e non ripensare al monologo che sancisce la sorte dell’ ” Ispanico” magistralmente doppiato da Luca Ward, la cui interpretazione si è cristallizzata nel tempo e come da lui confessato, ripetuta miliardi di volte da come è entrata nell’ immaginario collettivo ma d’ altronde si sa, la voce è come un marchio di riconoscimento, il dna di una persona.

” Mi chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell’ esercito del Nord, generale delle legioni Felix, servo fedele dell’ unico vero Imperatore, Marco Aurelio, padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa e avrò la mia vendetta, in questa o nell’ altra vita”.

Lo stesso doppiatore riconosce essere uno fra i suoi lavori più fedeli, tanta la similitudine nel modo di parlare e la somiglianza in alcuni atteggiamenti.

Racconta di aver incontrato il ” gladiatore” in carne e ossa nel 2005, si trovava nella Capitale per due giorni e che gli avrebbe confessato il desiderio di vedere Roma di notte; ” … gli mostrai l’ Urbe Imperiale, aveva gli occhi fuori dalle orbite ma sapeva tutto della città, mi raccontava persino la storia di ogni singola colonna…a me, che so’ de Ostia”.

” Il Gladiatore” è diventato una vera e propria opera pop, dove un attore australiano , Russell Crowe, interpreta un soldato dell’ antica Roma e poi dalla stessa adottato con tanto di sciarpa al collo.

Si può affermare che ” ciò che fa il cinema , riecheggia nell’ eternità” , quando l’ immaginario supera di gran lunga la storia e si trasforma in un ” cult” sfondando, a pieno titolo, le porte dell’ Olimpo, con una regia che lascia il segno in quelle foreste dove si scatena l’ inferno e noi siamo tutti a combattere senza tregua.

Ridley consegna alla storia un kolossal , pescando, a piene mani, nel baule della soffitta di Hollywood, riportando in auge un genere, quello del peplum, finito nel dimenticatoio.

In una Roma parzialmente ricostruita in studio e largamente digitale, in bilico fra il racconto di redenzione e di vendetta , caro al dualismo di ” i Duellanti” e ” Blade runner”.

” Un generale che diventò schiavo, uno schiavo che diventò gladiatore, un gladiatore che sfidò l’ imperatore”.

Un ex generale tradito ma vittorioso, devoto alla sua Roma e al suo Impero, servo fedele degli dei, capace di trionfare nell’ estenuante campagna di Germania, amato e osannato dal suo esercito e dal suo Imperatore.

Il senso lo regala un finale in agrodolce in cui il conflitto eterno fra uomo e divino si conclude con un solo vincitore, la morte.

Presente una ricerca instancabile e insaziabile di giustizia e libertà testimoniata da una delle tracce più belle di Hans Zimmer, ” Now we are free”, dove una magistrale Lisa Gerrard la canta in una lingua totalmente inventata.

E allora poco importa se la neve che si vede nella battaglia iniziale è fatta di pezzi di carta arrotolata, magie del cinema, se la scena suggestiva della mano di Massimo Decimo Meridio che accarezza le spighe di grano, non è di Russell Crowe ma della sua controfigura, se dentro al Colosseo, che all’ epoca si chiamava Anfiteatro Flavio, al posto dei leoni , scorrazzavano le tigri, se il gladiatore veniva appellato con il nome di ” Ispanico”, quando la Spagna ancora non c’era.

Poco importa davvero.

Possiamo soprassedere su ogni singola imperfezione e rendere grazie a Ridley Scott per averci donato un capolavoro e per aver fatto nostra, almeno una volta nella vita ” al mio segnale scatenate l’ inferno”.

Francesca Valleri