IL ROMANZO DEL COLON

Ci sono frasi che ci scivolano accanto come se fossero acqua, una di queste ” l’intestino è il secondo cervello”, di solito pronunciate dal medico, dall’amica new age o dall’istruttore di yoga ma dietro allo slogan che profuma di benessere si cela un’incontrovertibile verità: abbiamo due cervelli.
Il primo nella scatola cranica, siede rilassato in poltrona, tronfio del suo chilo e mezzo e dei suoi cento bilioni di neuroni funzionanti ( non sempre ahimè) ; quell’ammasso di ghirigori che controlla pensieri e memoria, linguaggio e movimento, battito del cuore e respiro, dettando il timing delle reazioni, incamera le informazioni che riceve pure dagli occhi e dalla pelle generando il punto di arrivo delle idee.
Va detto che talvolta risulta presuntuoso, ritiene di reggere tutta l’impalcatura sulle sue spalle ma il suo egocentrismo lo porta fuori strada.
Il secondo è garbato, silente, colmo di sensibilità e volontà di rendersi utile, capace di interagire con il cervello e modulare le emozioni, dislocato in un luogo inospitale e sporco, possiede enormi capacità di associazione e coordinamento autonomo; in soldoni se siamo di cattivo umore non è perché ci “girano le scatole” piuttosto per il colon.
Sta seduto sulla sua seggiolina di legno in paglia, in compagnia dei suoi cento milioni di neuroni…questo di per sé è già un romanzo!

Sembrerebbe dunque che il segreto della felicità risieda proprio nella pancia, Aristotele si è premurato di ricordarci che senza stomaco non c’è pensiero ed Epicuro che senza piacere non sopravviveva nessuna idea; il Novecento invece del ventre ne ha fatto una questione politica e letteraria iniziando da Kafka che lasciava lo stomaco in subbuglio fino a Joyce che non si vergognava di mostrare Bloom digerire e defecare.
L’intestino quale diario intimo della modernità…e oggi?
Oggi è sufficiente aprire il frigorifero a mezzanotte per mettere in scena la versione post moderna del “Simposio” o guardare ” La grande abbuffata” dove il cibo diventa teatro esistenziale e forse una modalità con la quale inscenare la vita e la morte.
In soldoni il cervello è sì l’organo fisico che permette la cognizione ma l’intestino è esperienza, ” conoscenza di diverso grado” che permette di pensare e ottenere consapevolezza.
” Più piccola è la mente, più grande la presunzione” ( Esopo).
Un intestino felice dunque come viatico di una vita felice e serena, un ansiolitico naturale, una sentinella di emozioni che lavora in autonomia e aiuta a fissare i ricordi; silenziosamente, rilascia serotonina e a pensarci bene… ma che gioia mangiare un pezzo di cioccolata o una rosetta con la mortadella!
La verità allora risiede nei luoghi comuni: ” un sentimento viscerale”, ” bisogna aver fegato”.
Non è un caso che tanti musicisti abbiano evocato la pancia; Beethoven scrisse al suo medico di fiducia ” sento ancora la musica ma inizio a non avvertire bene le persone”, i bluesman cantavano di wisky e fegati appesantiti.
L’intestino è un comico nato, sa essere tragico ( coliche e reflussi) e al tempo stesso filosofo silenzioso che lavora mentre noi dormiamo.
Se il cervello pensa, lui sente.
” Il dramma non è un intestino pigro ma la pigrizia del pensiero”.( Anonimo)
