GELSO,OMBRE E MORE

Plinio il Vecchio lo definì ” sapientissima arborum” (l’albero più saggio), è l’ultimo a sbocciare e il primo a maturare.
Il gelso con le sue fronde ampie e le sue dolci more non è soltanto un albero da frutto , le sue radici affondano nella storia e i suoi rami si allungano fino alla leggenda.
A questo albero saggio gli dobbiamo alcune storie d’amore antiche che nulla hanno da invidiare a Romeo e Giulietta, Ovidio, la ” Metamorfosi” con Piramo e Tisbe, giovani amanti della Babilonia che si davano appuntamento sotto un albero di gelso, grande, dai frutti bianchi; un terribile malinteso li portò al suicidio e il loro sangue tinse per sempre di rosso scuro le more della pianta.
Da allora sono il simbolo del destino avverso e dell’amore eterno.
Shakespeare ne riprese il mito tingendolo di una versione comica e grottesca nella recita messa in scena da un gruppo di artigiani; qui l’albero diventa sfondo ironico di un amore impossibile.
Nei secoli il gelso è passato da essere una pianta “mitica” ad un elemento memoriale quotidiano capace di evocare il rapporto tra uomo e natura, tra fatica e bellezza; Pavese lo inserisce ai margini delle strade e tra i filari, rendendolo scenografia silenziosa della vita di paese, Pascoli invece lo ha reso parte integrante del paesaggio agreste e di diritto lo consegna alla fatica contadina.

E’ un frutto dimenticato che macchia le mani ( e pure le magliette), ottimo se volessimo dare l’impressione di aver firmato un trattato con una penna stilografica che perde.
Se fosse un ristorante avrebbe un unico piatto sul menù: foglie.
Clienti abituali: miliardi di bachi da seta.
Clienti occasionali: capre curiose.
Segno di prosperità piantarlo vicino a casa, in alcune zone dell’Appennino il crepitio dei rami notturno dei rami, la voce degli antenati pronti a dare consigli, mentre in Veneto protegge i campi dai ladri ( probabilmente riconoscibili dalle mani sporche).
E’ l’albero che non si da mai fretta, è quell’amico paziente che però arriva sempre in ritardo.
Vuoi mangiare le sue more?…non devi avere fretta.
Cresce lentamente quasi a ricordarti di ” avere pazienza” che guarda caso risulta essere la virtù dei forti quanto la sua resistenza, cresce lentamente senza farsi prendere dal panico e quando da i suoi frutti, spesso ti sporca un po’ le mani…un po’ come la vita che non è mai una gara ma una maratona a passo lento.
Il gelso non si fa prendere dall’ansia da prestazione, cresce con tutta la calma del mondo come a dire ” tranquillo, i frutti prima o poi arriveranno” e quando le more sono pronte ecco la sorpresa: non fragole lucide o mele da copertina stile Biancaneve ma piccoli pasticci dolci e appiccicosi pronti, per di più, a lasciare macchie ovunque.
La pazienza è imparare a rimanere sotto l’ombra del gelso, senza fretta, senza sbuffare.
