“ELOGIO DELL’ OZIO”

La chimica del cervello è sintonizzata sull’ intrattenimento e dunque l’ indolenza risulta fastidiosa; la testa fa fatica a svuotarsi e il cellulare sembra squilli anche quando nessuno cerca, chiama e rincorre.

La velocità la cifra dei nostri tempi.

Come si palesa uno spazio vuoto scatta la corsa al riempimento ; imparare a stare nelle zone vuote sembra essere la sfida del millennio , quello della connessione e dell’ intelligenza artificiale, del produrre, partecipare, creare valore, nel quale, l’ ozio è visto con sospetto, considerato un lusso che pochi possono permettersi o addirittura una forma di pigrizia.

Ozio ” non è inoperosità bensì un lavoro svolto anziché dai muscoli, dal pensiero”; rinunciare a quelle riflessioni che si rincorrono feroci e alle azioni che si susseguono in modo disordinato e spesso preoccupato, in nome di un vuoto che ammette il pieno.

Una sorta di scampolo di stoffa rimanente dalla sottrazione di tutti i suppellettili dalla tovaglia.

Nell’ inattività possono palesarsi alcune sfaccettature non soggette all’ imperativo della produzione, che risultano la spinta propulsiva alla creatività; Salvador Dalì si concedeva momenti preziosi sulla poltrona, fino ad assopirsi, tenendo in mano un mazzo di chiavi che, al momento in cui il sonno sopraggiungeva, cadevano a terra riportandolo all’ attenzione.

Proprio questi scampoli di tempo erano, per l’ artista, fucina di immense intuizioni.

Oziare significa esseri liberi anche di condividere di meno e di ammettere il ridicolo e l’ autoironia come ingredienti fondamentali per l’ inventiva.

Si tratta di fare il vuoto con una certa cura e pazienza ritornando al primordiale significato di solitudine quale occasione di contemplazione.

La saggezza classica riteneva la ” contemplatio” più utile dell’ ” actio” , l’ ” otium” più del ” negotium” tant’è che Sallustio era convinto che la sua opera di storico giovasse alla repubblica più dell’ attività dei politici; la cultura dell’ ozio ha reso Roma e il suo Impero “grandi”.

I periodi di pausa risultano ottimali per indagare prospettive non ovvie, l’ avveduto utilizzo dell’ ozio di cui parla Russell, può risultare fertile se auspica anche a elaborare materiali raccolti in precedenza e si traduce in incubazione.

Dunque oziare è pensare, immaginare, contemplare.

I tempi moderni hanno tentato di mandare in pensione il termine ozio, sostituendolo con ” tempo libero” , perché la parola latina possiede una sfumatura di passività, un’ aurea negativa ma sia messo agli atti che il tempo non può essere libero, può essere avvertito in modo diverso , come ha scoperto Einstein ma non hai mai la libertà di scorrere in maniera differente o di non scorrere.

La libertà poi è ascrivibile a ciascun individuo, attraverso i propri gusti e passioni ma la vera indipendenza rimane comunque nel possedere il tempo.

Sembra quasi che il cervello sia programmato a boicottare l’ ozio e che ci sia una folla corsa verso la necessità di essere produttivi a tutti i costi e non solo sul lavoro, sembra che tutto debba avere uno scopo preciso, ossessione continua per le faccende da fare fra un’ ora, un giorno, una settimana.

Sarebbe il caso ” di tanto in tanto di prendere una pausa dai pensieri” e osservare un temporale alla finestra.

“Mentre altri si riempiono la memoria di una quantità di parole inutili che dimenticheranno prima di una settimana, l’ ozioso può imparare qualche cosa di veramente utile: suonare il violino, riconoscere un buon sigaro, parlare con garbo e naturalezza a tutti i tipi di uomini. ” ( R.L. Stevenson, Elogio dell’ ozio)

Francesca Valleri