TENEREZZA NON RIMBORSABILE

La parola cura ha un peso arcaico e universale, in latino la sollecitudine quanto la preoccupazione ; ” curare” proteggere, accompagnare, talvolta portare sulle proprie spalle la fatica dell’altro.
Amore, responsabilità, vigilanza, ferita.
Qualcuno ( un nome a caso, Battiato) è stato capace di rendere tale termine un archetipo del sentire moderno ma non quale “ode” di amore ” tradizionale” ( o almeno in toto), piuttosto un inno all’amor proprio e alla salvezza interiore quale moto di partenza, oltre a quello incondizionato per un’altra persona; il Maestro avrebbe definito la canzone una ” dichiarazione d’amore senza avere un ritorno”.
Non è il solito testo da San Valentino, nessun ” ti amo”, nessun ” sei l’amore mio”, piuttosto un ” ti proteggerò dalle paure”, come a dire vuoi l’amore?…bene, ti do qualcosa di più scomodo, ti lascio la responsabilità dell’altro.

Una sorta di dialogo fra l’anima ( il sé interiore) e quella parte di sé che necessita di guida e protezione.
La cura quale sacralità e gesto divino attraverso lo sguardo della Madonna e la mano di Cristo nelle pale degli altari, l’accettazione delle proprie fragilità con la conseguente degna venerazione per mezzo dell’occhio ( e il cuore) di Caravaggio.
La cura è lievitazione nelle pennellate di Chagall, gli amanti che fluttuano nel cielo sono sorretti dalla forza invisibile di un legame che sfida la gravità ( e non è ” la ricerca di un centro di gravità permanente), presenza attraverso la figura del servo, Gerasim, la cui umile fedeltà incarna l’unico conforto autentico di fronte alla morte ( Tolstoj); qui assume le fattezze del silenzio e della presenza, trasformandosi non in un atteggiamento sporadico e compito occasionale, piuttosto una postura esistenziale.
Ci ricorda che a volte è proprio il servo silenzioso che porta l’acqua, non l’amico figo e brillante che fa discorsi filosofici, Dostoevskij invece ci carica sulle spalle la responsabilità cosmica di tutti: ” ognuno è colpevole di tutto” come se non avessimo già abbastanza sensi di colpa.
E’ l’etica sulla quale si fondono i rapporti umani, è resistente al cinismo del tempo, è un mistero da proteggere, non da possedere.
Prendersi cura significa riconoscere le proprie vulnerabilità e quelle altrui che rendono il genere umano capace di pensiero, arte, amore.
Andando per tentativi, probabilmente l’unica opzione di vivere autentico, accogliere senza fare resistenza, custodire se stessi e l’altro, il mondo e il singolo con la delicatezza e la contezza di colui che sa che nulla è garantito.
La cura non è un gesto teatrale e non abbisogna di sottolineature, si annida nei dettagli, nei gesti silenziosi che potrebbero (a cuori distratti) passare inosservati.
E’ offrire un bicchiere di acqua, talvolta farsi presenza in silenzio, dettagli minimi che scavalcano discorsi solenni.
La cura succede non si annuncia.
Paradossalmente prendersi cura di qualcuno fa guarire un po’ se stessi, un boomerang gentile, non finisce in nessuna voce di bilancio, non garantisce nessun titolo onorifico, è invisibile ma quando manca si sente.
Il lascito di Battiato è che la cura non è un optional, non è “extra” come il wi-fi nelle camere di albergo ma condizione di base dell’umano e se accettate un pizzico di ironia potremmo affermare che prendersi cura non rende immortali ma rende la mortalità un po’ più sopportabile e forse è proprio questo: la più seria delle cose da praticare con la medesima leggerezza di una risata condivisa con gli amici.
