ANIMA DA LAVANDERIA

Ci sono attività che sembrano irrimediabilmente prosaiche, inchiodate alla quotidianità più domestica e umile: stirare ad esempio.
La stiratura è quel rito casalingo che, più che una necessità, sembra un castigo dantesco assegnato alle anime colpevoli di possedere troppe camicie nell’armadio… e un po’ me lo immagino il ” Sommo” collocare i peccatori in fila, ciascuno davanti a un ferro da stiro che si surriscalda lentamente e lascia gocce di calcare sui colletti (orrore)!
Eppure in questa liturgia della piega lisciata si potrebbe celare una metafora sorprendente: stirare le camicie non è poi così sorprendente da stirare l’anima perché entrambi i gesti rispondono all’urgenza di mettere ordine, un bisogno di rendere le superfici meno accidentate, che siano cotone o coscienza, di mostrarsi al mondo pronte.

E’ sufficiente osservarsi mentre si affronta quel capo di lino, che uscito dalla lavatrice si presenta accartocciato come un foglio di carta nelle mani di un bambino irrequieto.
Lo si stende sull’asse, lo si liscia con la mano e già si intravede che la camicia è l’anima, piegata, sgualcita, stanca, piena di segni delle lotte quotidiane; il ferro caldo che scivola altro non è che il gesto con cui proviamo a rimettere ordine, a dare forma, con pazienza e lentezza…sia chiaro non elimina definitivamente le pieghe ma le rende (almeno) temporaneamente sopportabili.
In definitiva l’anima è un tessuto fatto di ricordi, paure, slanci e desideri, talvolta un tessuto leggero, altre un velluto appesantito; Proust non si limitava a rievocare memorie con le madeleine ma avvertiva la consistenza dei “tessuti”, la trama delle tovaglie, i dettagli sartoriali quale veicolo di rimembranze.
Un tessuto che si straccia, che scolorisce e spesso si stropiccia sotto il peso dei giorni.
Il cinema dell'”anima” mostra quanto sia complicato ” presentarsi in società” , con i sentimenti spiegazzati, uno smoking impeccabile e un’anima perennemente in tempesta ( Mastroianni, ” La dolce vita”).
Possiamo immaginare che ogni passata di ferro da stiro raddrizzi un ricordo, ne attenui l’eccesso, lo renda pure tollerabile e se è vero che ” non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”, allora stirare predilige da che parte lisciare le fibre del nostro io.
Chiunque abbia stirato sa che il ferro è ritmo, avanti, indietro, pausa, sbuffo, un po’ come un valzer di Chopin o un adagio di Bach; l’anima stirata diventa partitura ordinata, pronta a suonare con limitate stonature scegliendo di volta in volta se esaltare le pieghe , come espressione di vita ( Michelangelo, Bernini e le pieghe scolpite nel marmo) o se lisciare per ritrovare equilibrio come un kimono giapponese, piegato con dignità.
Al netto di qualsiasi interpretazione resiste una verità spietata e incontrovertibile: non esiste stiratura definitiva, la camicia stirata oggi sarà stropicciata domani.
Forse il senso non sta nel risultato ma nel gesto, in quel prendersi cura, nel passare e ripassare, nel dire all’anima ” nonostante tutto continuo a lisciarti” e che nulla resta perfetto ma tutto può essere amato anche se stropicciato.
