IL PRATO NON RISPONDE!

Prende origine dal franco ” Gard”, recinto, spazio protetto, a sua volta imparentato con il tedesco ” Garten”; quello paradisiaco invece è fortemente associato alla cultura araba dal persiano ” Janna” e dal termine ebraico ” Gan Eden” e subito balenano Adamo ed Eva, quello perduto ( Eden) e il Caravaggio!
Da sempre un territorio ambiguo, un pezzo di natura addomesticata, un ordine imposto al caos che urla vendetta, cesoie alla mano, alle erbacce e foglie secche, come se le piante in qualche maniera sbeffeggiassero il concetto di controllo e immediatamente parte la metafora sull’esistenza; lo sforzo per tenerla in ordine e qualcosa che cresce sempre storto.
La filosofia si è comodamente seduta in quel ” giardino”, Epicuro lo scelse quale location ideale della sua scuola, non perché fosse particolarmente amante degli arbusti, piuttosto quale luogo a misura d’uomo per coltivare pensieri, imparare a potare e rinunciare.

E se Platone prediligeva l’Accademia e Aristotele il Liceo, Epicuro ci ha svelato il desiderio di ombra e non di marmo, e ci insegna che il giardino è pazienza: nulla vi nasce in un istante, tutto richiede attesa, dedizione e cura silenziosa, ci rammenta che i frutti non possono essere colti quando vogliamo ma quando la stagione lo consente.
Per il Sommo una iniziale “selva oscura”, trasformatasi poi in giardino ” paradisiaco” e nel mezzo declivi aspri e sassosi ( Purgatorio), fiorito quello del Boccaccio dove dieci giovani, in fuga dalla peste si rifugiavano in luogo ordinato, incantati e insidiosi quelli dell’ ” Orlando Furioso”, colmi di zanzare quelli moderni.
Montale li popolava di limoni cercando, nella loro umiltà il seme della verità, metafora del destino quei labirinti di Borges e Leopardi che forse non mise mai piede con entusiasmo in un giardino, luogo perfetto per dar sfogo a tutte le lamentele sulla condizione umana.
In definitiva il giardino è il grande compromesso, non è natura selvaggia, non è artificio puro piuttosto l’incontro tra due “cose” che ci raccontano che la vita umana non è mai completamente nostra né completamente fuori dal nostro dal nostro controllo; possiamo potare, annaffiare, concimare ma sfuggirà sempre qualcosa, una radice si seccherà, una pianta morirà e un’altra ne nascerà.
Nei film romantici e sdolcinati è il luogo per antonomasia dell’incontro, prati verdi, picnic, petali di ciliegio che cadano proprio al momento giusto ( chissà quale stagista era incaricato di scuotere l’albero) ma appena cambia la mano del regista e Lynch lo sa bene, il pratino all’inglese nasconde una carrellata di scarafaggi che banchettano allegramente.
Il giardino gode di un fascino irresistibile, serio raccontando della vita e della morte, del tempo che passa e delle cure necessarie e ironico perché non esiste modo per renderlo stabile e ogni vittoria contro le erbacce ci ricorda che è temporanea; ci mostra e dimostra che non tutto è spiegabile, che vi è un respiro segreto che cresce dalle radici, invisibile ma reale.
” Conta i fiori del tuo giardino mai le foglie che cadono”. ( R. Battaglia)
Il giardino è un piccolo campo di forze, l’ordine da una parte e dall’altra la natura che reclama la propria libertà e l’ironia risiede tutta lì, in un tiro alla fune infinito e pur sapendo che non la spunteremo mai, continuiamo a piantare fiori.
